Non è più il tempo del silenzio: comunicato stampa della CISM e dell’USMI
Le Conferenze dei Religiosi e delle Religiose in Italia (CISM ed USMI) sono grate alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) per l’appello lanciato sulla situazione limite delle scuole pubbliche paritarie, tramite il sottosegretario don Ivan Maffei, che ha dichiarato: “Allo Stato non si chiedono privilegi né elemosina, ma di riconoscere il servizio pubblico che queste realtà assicurano. Intervenire oggi – con un fondo straordinario destinato alle realtà paritarie o con forme di sostegno, quali la detraibilità delle rette, alle famiglie – è l’ultima campanella. Se questa suonasse senza esito, diverrà un puro esercizio accademico fermarsi a discutere circa il patrimonio assicurato al Paese da un sistema scolastico integrato”. Questa scuola ha radici culturali e antropologiche profonde, narra la flessibilità culturale della nostra gente, la sensibilità e la multiformità dell’impegno civico. Il suo annientamento -forse il progetto altro che sta alla base di tante resistenze politiche/ideologiche- rappresenterebbe un impoverimento culturale del Paese, per questo chiediamo a tutte le forze politiche di sostenere il pluralismo culturale della società italiana, pluralismo che passa attraverso la scuola, tutta la scuola. a) aiutare la famiglia a scegliere la scuola in tempi di covid-19; b) dare un futuro alla Nazione, salvando oggi la scuola e il pluralismo educativo; c) evitare il dramma di un costo aggiuntivo, pari a 2.8 mld di euro, che peserà sui cittadini già fiaccati a fronte della perdita di questo comparto. Madre Yvonne REUNGOAT, fma (Presidente U.S.M.I Nazionale) Padre Luigi GAETANI, ocd (Presidente C.I.S.M. Nazionale)
Come Superiori Maggiori, siamo consapevoli che, senza un intervento serio dello Stato, il 30% delle scuole pubbliche paritarie sarà destinato a chiudere entro settembre p.v., se non si dichiarerà bancarotta già entro maggio p.v., almeno per alcune. I segnali che arrivano dai Gestori, dai Direttori/Direttrici didattici e dagli Economi sono drammatici: si continua ad erogare un servizio pubblico e non ci sono più soldi per pagare i dipendenti; si pagano tutte le utenze ma non arrivano rette sufficienti per far fronte alle spese di gestione. Siamo oltre il limite, non ci sono le condizioni per arrivare fino a
giugno 2020, se non indebitandoci ulteriormente.
Abbiamo apprezzato l’intervento dei parlamentari che, in maniera trasversale, hanno fatto sentire la loro voce, presentando una interpellanza al Governo, richiamando le ragioni di un doveroso intervento a favore della scuola pubblica paritaria che andasse oltre ogni ideologia, perché la scuola è la prima impresa di un Paese democratico, il reale volano dello sviluppo sociale ed economico. Ma guardiamo anche con preoccupazione allo stralcio degli emendamenti a favore del sostegno reale della scuola pubblica paritaria dalla bozza del Decreto Cura Italia. Auspichiamo, pertanto, che ci sia una riconsiderazione di questo nel passaggio al Senato, che avverrà nei prossimi giorni.
Nulla sarà come prima, non solo per molte famiglie ma anche per tante imprese, sicuramente anche per la scuola pubblica paritaria. Stiamo parlando di un comparto produttivo fondamentale per la vita del Paese, di quasi 900.000 studenti, 180.000 tra docenti e operatori scolastici, 12.000 sedi scolastiche distribuite su tutto il territorio nazionale.
Ci teniamo a precisare che la scuola pubblica paritaria da noi sostenuta e rappresentata non è una scuola di borghesi, di élite, ma è costituita, in buona parte, da una popolazione scolastica fatta da famiglie che non ce la fanno a pagare la retta mensile; si tratta di una scuola che abita zone povere e risponde a situazioni di disagio del nostro territorio, che agisce in termini di sussidiarietà rispetto al diritto all’istruzione, di cui è depositario qualunque bambino nato in questo Paese e che, senza dubbio, rappresenta il vero obiettivo sociale rivoluzionario di un Paese civile e democratico.
Non possiamo immaginare una parte della scuola abbandonata a se stessa e su cui non si investe, chiamando i cittadini a farsene carico. Sarebbe ridursi alla barbarie (L. Berlinguer), o alla premessa della creazione di scuole private di eccellenza che garantirebbero i più facoltosi. Non è più il tempo del silenzio, per questo chiediamo al Governo non mezze misure, ma un gesto di coraggio e di giustizia sociale, dando compimento all’articolo 33 del dettame costituzionale -diritto di Enti e privati di istituire scuole- e alla 62/2000, completando la riforma e riconoscendo fondi alle scuole pubbliche paritarie come alle pubbliche statali, così come accade in tutti i Paesi europei.
Non è più il tempo del silenzio, per questo chiediamo al Governo di:
Non è più il tempo del silenzio, per questo non possiamo fare altro che appellarci al Governo per chiedere che intervenga con un fondo straordinario, unica misura realmente efficace e non elemosina, o garantire la detraibilità del 100% delle rette sostenute dalle famiglie. Senza un intervento consistente, le briciole avranno l’unico risultato di allungare l’agonia, o ritardare il suono dell’ultima campanella.
Il nostro senso civico ci porta non solo a chiedere ma anche a dare quello che possiamo, perché questo tempo necessita di creatività e collaborazione. Offriamo allo Stato, da parte nostra, la possibilità di valutare, per far fronte alla emergenza del coronavirus nelle scuole che, senza dubbio, avranno bisogno di garantire un sufficiente “distanziamento sociale", di poter utilizzare, previo accordo, parte degli edifici degli Istituti delle scuole pubbliche paritarie, in una sorta di “patto educativo e civico", perché crediamo che la riapertura delle scuole a settembre segnerà la effettiva rinascita del nostro Paese, dopo questo inverno sociale, economico e culturale.
Crediamo che riaccendere i motori della scuola pubblica statale e paritaria sarà un segnale forte di ripresa della vita sociale e produttiva del nostro Paese. L’accensione solo in parte di questo settore e il conseguente settembre caldo sul versante sindacale e sociale rappresenterebbe una sconfitta non meno devastante di quella del coronavirus.