Lo stagno e le oche
C’era una volta, in un angolo di campagna verde e incontaminato, un laghetto minuscolo, quasi uno stagno, ma il cielo si specchiava dentro la sua acqua pura e lo trasformava in un gioiello incastonato nel morbido tappeto dei prati.
Il sole di giorno, la luna e le stelle di notte si davano appuntamento nel limpido specchio d’acqua.
I salici della riva, le margherite e l’erba delle colline tremavano di gioia per quel riflesso di cielo caduto in terra, che trasformava quel remoto angolo di mondo in un piccolo paradiso.
Ma un giorno, schiamazzando e starnazzando, arrivò sulle sponde dello stagno uno stormo di grasse e prepotenti oche.
I loro imperiosi “qua, qua!” e i loro robusti becchi sconvolsero il silenzio e la pace dello specchio del cielo.
Le oche erano creature pratiche, non badavano certo al sussurro del vento e ai riflessi dell’acqua limpida.
Si tuffavano a decine nello stagno e cominciarono ad arare il fondo alla caccia di cibo. “Mangiare e ingrassare” era il loro motto. Sguazzavano, sporcavano, strepitavano.
Piume e spruzzi volavano da tutte le parti. Granchiolini, pesciolini, e tutti gli animaletti che vivevano nel laghetto in un battibaleno sparirono nel vorace gozzo delle insaziabili oche. La polvere finissima depositata sul fondo, sconvolta e smossa, invase l’acqua. Rametti, foglie e alghe che filtravano e trattenevano l’acqua nel laghetto furono dispersi.
La sera, quando il silenzio ritornò tra le colline, la prima stella cercò invano la sua casa sulla terra e la luna non poté specchiare il suo volto d’argento sulla terra. Lo stagno era solo una distesa di fanghiglia maleodorante e senza vita. Lo stagno era morto.
Il vento portò la notizia alle nubi e le nubi alle stelle, alla luna al sole. Tra le foglie dei salici piangevano i pettirossi e le allodole. In quell’angolo di campagna il cielo non si sarebbe specchiato più.
Il laghetto sei tu